Gabba

Gabba

Gabba (mt. 712)

Oggi Gabba è un paese di poche case addossate alla curva che, venendo da Gaggio Montano, si apre all’improvviso sulla valle del Silla come la porta di un grande balcone panoramico.
Giusto il tempo per stupirsi di tanta bellezza ed ecco il cartello che ne indica la fine.
Ma un tempo, nel medioevo, questo paese ha avuto una storia così nobile ed importante da fare impallidire tutto il restante territorio comunale.
Il borgo di Gabba è citato per la prima volta in un documento del 753, una donazione di territori fatta da Astolfo, re dei Longobardi, al cognato Anselmo, fondatore delle abbazie di Fanano e Nonantola.
Dal punto di vista politico Gabba appartenne, dal VIII al XII secolo, all’abbazia di Nonantola, come tutto il territorio afferente alla pieve di Lizzano, conquistato poi dal comune di Bologna.
Nel 1014 Gabba fu sede di un castello appartenuto alla famiglia Cuzani alleata con Bologna.
Un luogo ricco e potente che vide anche la presenza di figure straordinarie che non ti aspetteresti mai di trovare quassù.

Di questa antichissima storia rimane oggi come unica testimonianza la piccola chiesa dedicata a Santa Maria, una delle pochissime cappelle romaniche che siano giunte a noi quasi intatta nella sua struttura originaria.

La chiesa di Santa Maria Assunta di Gabba si trova nel centro del paese alle pendici del Monte Belvedere, su cui sorse agli inizi del XII secolo un munito fortilizio, voluto dal Senato Bolognese per contrastare gli attacchi di parte modenese.
La chiesa è uno dei pochissimi esempi superstiti, giunti quasi integri fino a noi, di chiesa di villaggio, voluta cioè dagli abitanti del posto in seguito a un notevole incremento demografico verificatosi tra XI e XII secolo.

Il noto architetto Giuseppe Rivani, che studiò molti edifici antichi dell’Appennino, parlava con ammirazione di questa chiesa, un gioiello del Romanico appenninico che nel suo parere: “… rappresenta il tipo più semplice di costruzione romanica in pietra arenaria che si trovi così ben conservata nella nostra Provincia, Semplicissimo è il tipo di finestra a feritoia a doppio sguancio, come pure semplicissimo il coronamento di tutta la chiesa, abside compresa, costituito da un concio a sguscio e listello, mentre lo zoccolo è dato da semplice smussatura”.
Questo sacro edificio trova riscontro, per la finezza di esecuzione delle cortine e per le sue particolarità con le Pievi dell’Appennino tosco-emiliano e con le costruzioni della montagna bolognese, che più che dell’arte lombarda sentono l’influsso dell’arte romanica di Toscana (v.Pievi di Roffeno e di Panico e Santuari di Montovolo), ma è al suo interno che la chiesa conserva i suoi tesori più belli che fanno di questo edificio un gioiello prezioso.
Nell’abside è presente un ciclo di affreschi risalente al XIV secolo, tra i quali spicca sulla parete nord una bellissima Madonna della Cintura in trono entro amigdala, circondata da angeli, assegnata per i tratti stilistici al migliore Trecento bolognese.
Purtroppo l’affresco risulta mutilo per l’inserzione, in età moderna, di un pulpito, poi rimosso negli anni ’60 del Novecento.
Il motivo della Madonna del Cintura, il cui culto si diffuse in particolare nella zona di Prato a partire dal 1141, giunse nel Belvedere forse in seguito al ricco mercante pratese Francesco di Marco Datini, che tra XIV e XV secolo ebbe molti contatti con Porretta e Bologna, e qui in particolare con le famiglie Nanni e Bentivoglio.

Nella parete di sinistra, un’ultima cena, in quella in fondo i Santi Rocco e Sebastiano mentre nella volta a botte è presente un Padre Eterno con i quattro Evangelisti.
In una larga fascia sottostante sono ancora visibili dei profili laureati entro medaglioni, in uno dei quali si è voluto riconoscere il poeta Dante Alighieri.
La parete sopra l’altare maggiore, tra le due monofore, è affrescata con due angeli che incoronano la Vergine, purtroppo mancante per l’inserzione, alla fine del XVIII secolo, di un’ancona in legno intagliato e dorato; ai lati sono ben riconoscibili San Rocco e San Sebastiano, santi epidemici per eccellenza la cui presenza nelle chiese di montagna era legata al ciclico ripresentarsi di pestilenze.
Le due cappelle laterali sono frutto di lavori di ampliamento del XVII secolo, così come la facciata e il campanile.

Nel corso di lavori di restauro è emerso, nell’area dell’altare maggiore della chiesa di Gabba, un bel pavimento in cocciopesto con tessere rosse e nere, disposte a formare motivi fitomorfi.
La chiesa di Gabba conserva anche alcuni arredi provenienti dalla vicina chiesa parrocchiale di san Lorenzo di Grecchia, purtroppo definitivamente crollata a causa di una paleo frana che ne ha sempre minacciato la stabilità.
Questa chiesa si trova a poche centinaia di metri da Gabba.
Attualmente ci sono solo i resti ma anch’essa di antichissima origine e sede di un castello.
L’esistenza nel medioevo di due chiese così importanti ed antiche, e, forse, di due castelli posti a poche centinaia di metri l’uno dall’altro rappresenta un fatto assai raro per non dire unico nella montagna Bolognese.
Fra l’altro questi due castelli: “… per lunga stagione si fecer guerra e di dilaniarono a vicenda, seguendo il primo (Gabba) la bandiera dé Guelfi, l’altro (Grecchia) le insegne dé Ghibellini… questi due castelli e le case che ne contorno si aggiunsero diedero origine a due distinte parrocchie”.
L’altare maggiore della chiesa di Grecchia, un pregevolissimo esempio di artigianato emiliano, fu realizzato da mastro Silvestro Pozzi, intagliatore e doratore.
Attualmente è conservato nella chiesa di san Giacomo di Bologna.
Altra opera pregevole è la pala dell’altare maggiore, dove sono raffigurati san Lorenzo, patrono, e i co-patroni san’Antonio, san Pancrazio, san Giacomo e san Giovanni Battista; la pala, a olio su tela di ignoto autore, è un bell’esempio di pittura di ambito emiliano del ‘600.
Purtroppo dell’antica e misteriosa storia di Grecchia rimane oggi solo il campanile, ricavato da una torre civica risalente forse al XI secolo facente parte del sistema difensivo del Belvedere che, come un vecchio guerriero ormai rassegnato, sembra attendere senza più speranza l’ultimo sussulto della terra prima di scomparire definitivamente.
Il fonte battesimale della chiesa di Grecchia sarà riutilizzato come base per la mensa dell’altare di Gabba. (di  Alessandra Biagi)

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