Vidiciatico

Vidiciatico

Vidiciatico (mt. 810)

Ucci, ucci, à sènto odòr ed cristianùcci! Qui ce né qui ce nè stà, qualche d’ùn arimpiatà!“.
E tutti i ragazzini stavano immobili, a bocca aperta, ad ascoltare, anzi riascoltare, questa storia  già nota ma capace ogni volta di gelare il sangue.
Come non rimanere impressionati da quel racconto che aveva come protagonista un omone descritto dagli anziani che lo avevano incontrato nel bosco peloso, seminudo, altissimo,  dai lineamenti dilatati, munito di un bastone con il quale menava terribili fendenti.
Nel racconto ognuno aggiungeva particolari sempre più spaventosi ed i ragazzi  tornavano a casa dalla  veglia serale con gli occhi puntati lassù dove, raccontavano i “grandi”, abitava l’uomo selvatico. Là c’era la sua tana ed il suo regno, il bosco, dove viveva cibandosi di animali selvatici che squartava a mani nude,  e guai a perdersi  nella macchia perché l’om salvadgo  non disdegnava neppure la carne umana, “meglio se giovane e tenera come quella dei fanciulli”, ed a queste parole la paura diventata soffocante.
Ma come ogni leggenda che si rispetti  c’è sempre un fondo  di realtà  che contribuisce a renderla perquanto possibile ancor più inquietante.
Nel caso dell’uomo selvatico esiste un luogo fisico che porta il suo nome  che si trova nel fitto della boscaglia proprio sopra il paese, ma soprattutto in questo posto ci sono alcune grosse pietre che assomigliano molto ad una tana,  un solco che sembra  uno scranno, chiamato la sedia dall’uomo selvatico, e  alcune incisioni rupestri, una forchetta, un cucchiaino ed una scritta d’origine misteriosa.
Leggende che fanno parte della  tradizione tipica  dei paesi di montagna dove in inverno, nelle lunghe veglie serali, il gusto del racconto e dell’esagerazione facevano galoppare la fantasia.
Ne è esempio ciò che si narra anche sull’origine del paese, nato dall’avvistamento di un famoso bandito di nome Ciatico che un tempo tiranneggiava in questi luoghi.
” …. Questo sito, dicono i naturali del luogo, prese il nome dall’esservi comparso un masnadiero modenese chiamato Ciatico, sulla testa del quale era posta una taglia di mille scudi d’oro che guadagnò un abitante col denunciarlo alle guardie estensi…” (Rivani, 1965).
Ovviamente si tratta di un’ipotesi infondata nata dall’opportunità linguistica cui ben si presta il nome del paese  (Vidi Ciatico!),  che ci introduce però ad un mistero  che ancora oggi avvolge la storia del Paese:  l’origine della torre che si erge nella piazza a proposito della quale Giuseppe Rivani scrive:
“…ma il monumento che più interessa a Vidiciatico è la torre, poderosa opera in sasso, di conci ben squadrati, in opus quadratum, con muri di uno spessore che va dai metri 1,40 ai metri 1,30; edificio quindi di fattura dichiaratamente romanica, come dimostra con maggiore evidenza la piccola porta d’ingresso, con arco a pieno centro.  
Il tronco inferiore di questa costruzione, ritenuta molto antica, fu dunque in origine una torre di difesa del castello di Vidiciatico che si può fare risalire a poco dopo il mille e non oltre il secolo XII”.
Ma sappiamo che  all’epoca qui non esistevano né un castello né un sistema difensivo al quale questa torre potesse fare riferimento.  Un mistero quindi che ancora oggi avvolte la sua origine per la quale non rimane  che un’altra, ardita, ipotesi che anticiperebbe però di qualche secolo la datazione della torre stessa: collegarla cioè alla presenza della pieve di Lizzano e quindi all’avamposto militare posto a difesa dell’estremo confine occidentale dell’Esarcato.
Il nome del paese ha origini altomedioevali, significa “luogo in cui è permesso tagliare i salici”, che sono, infatti, ancora abbondanti alle pendici dei monti che circondano il paese. Due rioni del paese (Campiacióla e Ca’d’Gherardi) costituivano piccoli nuclei abitativi a sé stanti, tangenti il centro del paese in cui si trovava la chiesa e, pare, una piccola cinta muraria.
Gli abitanti sono detti “magalini”, parola d’etimo incerto, forse da una radice preindoeuropea “mag”, stomaco, pancia, quindi “dalla pancia piccola”.
La Piazza: è dominata dal campanile e dalla Cappellina, abside dell’antica chiesa datata al 1393, abbattuta alla fine dell’800 per far posto a quella attuale.
Il nome della piazza ricorda la strage nazista di Ca’ di Berna del 27 settembre 1944, compiuta delle truppe tedesche in ritirata.
La Cappellina: Piccolo edificio che affianca il campanile, è l’abside dell’antica chiesa, demolita alla fine dell’Ottocento perché pericolante a causa delle infiltrazioni d’acqua di una piccola sorgente che scaturisce sotto il campanile, sorgente che ha portato, nel tempo, ad una vistosa inclinazione del campanile, visibile in particolare dalle Are.
La facciata, dove si arrestò la demolizione della vecchia chiesa, si presenta con l’arco del presbiterio accecato che conserva però i pilastri con capitelli dorici e una chiave di volta di carattere seicentesco, mentre il portale risale al XVIII secolo.
Sul retro dell’edificio si è conservata una bifora internamente accecata, con le due arcatelle ricavate da un unico blocco d’arenaria a formare l’architrave. Qui è ormai appena leggibile la data di costruzione della Cappellina, il 1393.
Ai lati della bifora si notano dei bei capitelli a volute di tipo eolico, capitelli che avevano funzione di mensola.
Le due finestre sottostanti sono state accecate già in antico. Un’iscrizione incisa su un concio sull’angolo sud-est nel lato meridionale reca a caratteri gotici la data MCCCCVII, secondo alcuni studiosi la vera data d’erezione della chiesa e secondo altri da riferire invece ad un restauro con sopraelevazione, visibile nel cambio di struttura della muratura
Tracce di vecchie tinteggiature in rosso, che si trovano ancora nella parete sud della Cappellina, sono riferibili probabilmente ai restauri a base di tinte rosse che venivano decretati dal vescovo Ascanio Marchesini nella sua visita pastorale del 1573, e indicherebbero quindi che nel secolo XVI l’abside nella sua parte più antica, esclusa cioè la sopraelevazione, aveva già la forma attualmente visibile.
Dall’epoca della demolizione fino agli anni ’60 del Novecento la Cappellina fu sede della Compagnia del Santissimo, eretta a Vidiciatico fin dal 1610.
Sul retro della Cappellina è visibile la porta d’accesso dell’antica canonica, risalente al 1570, arricchita dalla presenza di una croce scolpita nella chiave di volta.
Attualmente è adibita a deposito, dopo aver attraversato varie vicende nei secoli.
Il campanile: E’ stato ricavato da una torre civica databile agli anni intorno al Mille, come testimoniano il portale d’accesso a tutto sesto sul lato meridionale e la tipologia della muratura, in conci ben squadrati d’arenaria locale a formare mura di grosso spessore (metri 1,30 – 1,40).
La torre si eleva dal suolo per poco più d’undici metri.
La cella campanaria fu realizzata nella seconda metà del XVI secolo, poiché già dal 1565 ospitava una campana; in essa si aprono quattro monofore centinate con l’arco in conci squadrati, ornato in chiave da sculture a mezzo busto di figure che sembra raffigurino: a sud S. Pietro (patrono del paese), ad ovest la Madonna col Gesù Bambino, a nord il Padre Eterno e ad est un angelo.
Nella ghiera dell’arco della finestra volta a sud corre a metà un cordone a tortiglione in rilievo, forse a rimarcare il mestiere di pescatore di S. Pietro. La guglia piramidale risale al 1820, mentre l’orologio è stato posto nei primi anni del Novecento.
Attualmente le campane, realizzate dalla ditta Brighenti e datate 1825, sono quattro.
La guglia sovrastante è stata aggiunta nel 1820, mentre la mostra dell’orologio è del 1912: è in marmo con i numeri in piombo, che sostituirono quelli originali, dipinti, che avevano bisogno di essere continuamente “ripassati” poiché sbiadivano a causa delle intemperie.
Ma, oltre alla funzione religiosa ed agli elementi architettonici che lo compongono, il campanile con la sua mole poderosa rappresenta un po’ tutto il paese.
Al suono delle sue campane sono affidate infatti tutte le notizie che interessano l’intera comunità; ecco allora che tutti diventano partecipi della festa per un matrimonio e possono godere delle “allegrezze” suonate dai campanari oppure,  avvisati dalla “passata”,  della morte  di  un  compaesano. Tre piccoli  tocchi  secchi  della “grossa” per gli uomini e due per le donne, mentre l’apertura di una delle quattro persiane del campanile indicava a tutti la zona del paese dove abitava il defunto.
Non a caso  fu proprio attorno a questa torre che nacque prima il paese e poi, nel 1393, la chiesa che lo avvolgeva interamente come dimostrano i segni delle falde del  tetto ancora presenti sulle pareti del campanile stesso.
La Chiesa: Dell’antica chiesa di Vidiciatico rimane soltanto l’area absidale, quella che i paesani chiamano familiarmente la Cappellina, che reca la presunta data di edificazione, 1393, e la data di un restauro che nel 1407 comportò un leggero rialzo dell’edificio.
L’attuale chiesa parrocchiale fu costruita a causa dei gravi problemi di statica dovuti a infiltrazioni d’acqua che minavano alle fondamenta quella antica.
L’8 novembre 1874 la chiesa antica fu definitivamente chiusa e le funzioni religiose furono tenute nell’oratorio di San Rocco.
Il problema maggiore per la costruzione di un nuovo edificio era sostanzialmente economico, dopo che, per varie cause, il bilancio parrocchiale si faceva sempre più esiguo.
Il parroco di allora, don Peltretti, non si perse d’animo e fece richiesta di fondi alla Curia, che effettivamente stanziò una piccola somma per concorrere alla nuova opera, così come fece il Comune, che stanziò £ 5000 da versare in quattro rate; i paesani prestarono gratuitamente la loro opera.
Le proposte furono tre: ricostruire la chiesa nella piazza, spostarla verso San Rocco, ampliare San Rocco.
La morte di don Peltretti il 19 febbraio 1879 sembrò interrompere i progetti, ma il nuovo parroco, don Giovanni Cassellani, si dimostrò energico come il suo predecessore.
I parrocchiani decisero di costruire la nuova chiesa mantenendola in piazza, ma con orientamento opposto a quella antica; ciò comportava però che parte della chiesa venisse a trovarsi sul terreno di Giovanni Guerrini, che inizialmente non voleva saperne di cedere il suo terreno per la costruzione del nuovo edificio.
La tradizione dice che fu la moglie Maria, molto devota, a convincerlo.
I paesani avevano intanto cominciato ad abbattere la vecchia chiesa e a ripulire le pietre, con l’intento di riutilizzarle per costruire quella nuova.
I lavori di costruzione cominciarono nel 1881 e la difficoltà più grande fu quella di togliere l’acqua che tanti problemi aveva causato, conficcando nel terreno dei grossi pali di castagno.
La ditta incaricata dei lavori fu quella dei lizzanesi Luigi Filippi e Alfonso Biagi.
La nuova chiesa fu inaugurata solennemente il 29 giugno 1884, festa del patrono, anche se praticamente c’erano solo i muri esterni e il tetto.
Nel frattempo, gli enti che erano stati interpellati per sostenere almeno in parte le spese rifiutarono di elargire altri fondi, per cui solo nel 1890 si giunse ad una delibera comunale che stanziò altre 1500 lire in cambio dell’uso della Cappellina come edificio scolastico.
All’inizio la chiesa aveva solo tre altari, tra cui il maggiore, su cui, come oggi, si trovava la pala della vecchia chiesa, la tela raffigurante la consegna delle chiavi a San Pietro, opera di Antonio Crespi datata al 1641.
Il tabernacolo, quello ancor oggi visibile, fu realizzato dall’abile intagliatore e doratore mastro Silvestro Pozzi di Grecchia.
L’altare era in pietra, opera dello scalpellino Giosuè Cioni di Pra’ dalla Villa, fu spostato nella cappella del cimitero quando nel 1941 il cardinale Nasalli Rocca consacrò quello nuovo, attualmente visibile.
L’altare della Madonna del Rosario in origine ospitava la secentesca statua della Vergine che attualmente si trova in San Rocco; quella attuale è degli anni ’30-’40 del Novecento ed è circondata da 18 quadretti, 15 con i misteri e i 3 sottostanti con San Luigi Gonzaga, la Madonna di Pompei e Santa Rosa da Lima e Sant’Anna.
Gli affreschi furono realizzati nel 1939 dal prof. Dante De Carolis di Bologna.
Il terzo altare fu dedicato a Sant’Antonio da Padova e al Sacro Cuore di Gesù.
Era fornito di una grande tela opera di Pierfrancesco Cittadini, datata al 1627, raffigurante il Sacro Cuore, e di una grande statua del Santo.
Nel 1929, in seguito a una cospicua donazione di Angelo Carpani, l’altare fu dedicato alla Sacra Famiglia; a Sant’Antonio fu dedicata la piccolissima cappellina costruita da don Giuseppe Tabellini nel 1927 all’entrata destra della chiesa e la Compagnia del Sacro Cuore si trasferì presso l’altare della Madonna.
Nel 1922 don Carlo Brozzetti fece costruire le due cappelle laterali, quella detta “degli uomini” e quella di fronte, dove canta attualmente il coro parrocchiale; nel 1930 don Tabellini ampliò la cappella di sinistra e costruì la sacrestia sul retro, nel 1931 fece fare l’impianto elettrico e nel 1941 cambiò il vecchio altare di pietra con uno di marmo.
Le colonne monolitiche che separano le due cappelle laterali dal presbiterio sono opera degli scalpellini locali di Case Corrieri, realizzate con arenaria cavata poco a monte dello stesso luogo.
Nel 1931 il cardinale Nasalli Rocca, nel corso delle solenni celebrazioni per i 300 anni dell’oratorio di San Rocco, concesse alla chiesa di Vidiciatico la dignità di Chiesa Arcipretale.
Sulla porta d’ingresso,  un pregevole organo costruito nell’Ottocento dell’artigiano bolognese Adriano Verati.
Molto recentemente il parroco don Giacomo Stagni ha restaurato e ampliato la cappella degli uomini, eliminando parte della sacrestia.
Nella nuova cappella hanno trovato posto alcune statue di Santi che non avevano più una loro collocazione, sant’Antonio da Padova e santa Lucia, mentre il titolare san Pietro è stato alloggiato in una nicchia a destra dell’altare della Madonna.
La canonica si trovava dietro la Cappellina, e per ricostruire il tetto, crollato alla fine del ‘600, il cardinale Boncompagni ordinò che si utilizzassero
“… quei castagni novelli che crescono nella Chiusa”.
Ca’d’Gherardi: Attualmente è conosciuta dai turisti come Borgo Antico, ma il nome originario vive ancora nella parlata dei paesani.
Costituisce il vero centro del paese, il punto in cui, secondo recenti studi ancora in fase di completamento, si trovava un piccolo nucleo fortificato, databile intorno all’anno Mille, nucleo che costituiva il centro civile del paese, poco distante dal centro religioso.
È una piazza che ha conservato molto dell’aspetto antico.
Si accede tramite quattro voltoni che formano una sorta di piccola “fortezza” in grado di offrire riparo  agli abitanti ed i loro animali. I voltoni potevano essere chiusi con portoni di legno in caso di bisogno; la fontana, che nel 1894 ha sostituito il pozzo che consentiva l’approvvigionamento idrico; le case che, sebbene modificate nell’aspetto esterno, conservano ancora la struttura circolare del borgo.
Qui si trova anche un bel “casone” (essiccatoio per le castagne) molto antico, di proprietà dei Gherardi, l’unico sito in paese.
Il nome del luogo significa “casa di quelli di Gherardo”; qui aveva sede una famiglia molto antica, variamente diramata e ancora oggi molto presente sul territorio, un tempo molto ricca, soprattutto di pecore.
Nella casa più alta della piazzetta risiedeva il capo vergaio, che coordinava il lavoro degli altri pastori destinando i luoghi di pascolo delle greggi.
I documenti testimoniano la presenza di 40mila capi di bestiame ovino nel territorio del Belvedere alla metà del ‘600, sottoposti a rigide regole sanitarie per evitare epidemie d’afta epizootica.
In epoca antica pare che anche il bestiame trovasse riparo entro la piazzetta, in caso d’incursioni di briganti o predoni.
Da qualche anno è gemellata con la piazzetta della Còrniola di Lizzano.
Oltre ai Gherardi, noti dal XV secolo, si trovavano qui i Farneti e i Bernardi.
L’Osto: Subito dietro Ca’ d’Gherardi, altro edificio di valore. Luogo frequentatissimo dai boscaioli il sabato sera al ritorno dal lavoro dopo un’intera settimana trascorsa a fare legna o carbone, ancora oggi perfettamente conservato ed in funzione nella sua destinazione originaria dopo secoli di ininterrotta attività.
Osteria del 1505 posta sull’antica strada che conduceva a Madonna dell’Acero al confine con il territorio modenese. Fin dal suo nascere era anche posto di sosta per mercanti, briganti e pellegrini, con possibilità di cambio e ristoro anche per la cavalcature, poiché dietro si trovava una stalla con una piccola officina di maniscalco.
Ca’ di Pastori: di fronte all’Osto si trova e di proprietà della famiglia Cioni.
Campiacióla: il nome antico di questa piazzetta si è italianizzato in Campiacciòla, o anche mutato in Piancacciòla.
Il significato originario è “piccolo campo piano”, dove “campo” è da intendersi come “piazza”. In origine, infatti, questo luogo era uno spiazzo erboso circondato dalle abitazioni, con un pozzo al centro, sostituito poi da una fontana come in Ca’ d’Gherardi.
Anche Campiacióla aveva i voltoni (almeno tre), ma ne rimane uno soltanto.
La strada che scende verso l’attuale Parco Noci (oggi Via R. Gherardi ma un tempo Via Serretto di Damino) era l’antica strada altomedioevale che conduceva verso il modenese e verso il castello di Monte Belvedere; durante la peste del 1630-31 era utilizzata anche per portare i moribondi nel lazzaretto sito proprio nell’attuale Parco Noci detto, fino alla nuova denominazione nel secondo dopoguerra, Campo dei Morti.
Qui si trova anche un passaggio segreto che permetteva di uscire non visti dalla piazzetta, verso l’attuale Via Due Giugno ed è possibile ammirare i resti di un antico portale tamponato risalente al XV secolo.
Tra le famiglie che ebbero qui la loro origine la più antica è quella dei Biagi, che avevano un “quartiere” tutto loro (Ca’ di Biagi), poi i Fiocchi e i Cioni
Le Are: questa piazzetta non era chiusa da mura, essendo più recente delle altre; inoltre la posizione leggermente rialzata, verso Il Poggio, forniva un buon punto d’avvistamento in caso di pericolo.
Il nome indica la presenza qui di piccole aie ad uso famigliare, spazi che venivano usati per l’allevamento di bestiame minuto e per le attività connesse alla trebbiatura del grano.
Un’altra ipotesi, non confermata, vuole che il nome derivi dalla presenza qui d’altari pagani, di cui però non vi è traccia né archeologica né documentaria.
Fino al secondo dopoguerra qui e nella piazza si teneva il mercato, tanto che fino al 1944 la piazza principale si chiamava Piazza del Mercato.
Le famiglie originarie di questa piazza, documentate nei libri canonici almeno dal XVI secolo, sono i Cheli, i Giovanelli, i Marcacci e i Guerrini, i fabbri del paese fino a qualche decennio fa.
San Rocco: La fisionomia dell’oratorio, di forma rettangolare con le sue linee pulite ed armoniose, il tetto a capanna, il campanile a vela e l’antistante porticato, è rimasta pressoché invariata nei secoli tranne che per la costruzione  nel 1931 di una piccola sagrestia aggiunta sulla parte retrostante e della pavimentazione interna in marmo realizzata nel 1956.
E’ un bell’oratorio costruito dagli abitanti di Vidiciatico tra 1631 e 1636 come ex-voto dopo la peste del 1630, come attesta l’iscrizione presente nella pala dell’altare, raffigurante la Madonna di Loreto, San Rocco e San Sebastiano.
Fu voluto dal parroco del tempo, don Giovanni Mazzini, che per edificarlo fece ricorso, oltre che alle offerte dei paesani, anche a sue rendite personali.
Narra la leggenda che durante la peste i paesani decisero di acquistare  le statue dei Santi Rocco e Sebastiano e che l’epidemia cessò all’improvviso proprio quando le due effigi arrivarono in prossimità del paese.  Il fatto attribuì loro facoltà miracolose tanto che l’anno successivo, nel 1631, gli abitanti costruirono un oratorio per dare loro degna ospitalità.
In realtà la storia di questo edificio racchiude un piccolo mistero, quello che tutti, paesani e turisti, conoscono come l’oratorio di San Rocco, dimenticando spesso il povero Sebastiano, in realtà è dedicato alla Madonna di Loreto come testimonia il quadro che fa bella mostra di se sull’altare e che farebbe supporre l’esistenza in questo luogo di un edificio sacro antecedente ai fatti descritti.
L’interno ha pianta semplice, a capanna, con ampio arco di accesso al presbiterio, diviso dalla navata da un’elegante balaustra in pietra arenaria scolpita finemente con motivi di fiori. Il pavimento in marmo è moderno, posto negli anni ’50 del Novecento.
La pala dell’altare maggiore, che raffigura la Madonna di Loreto con San Pietro a sinistra, San Giovanni a destra e in basso San Rocco a sinistra e San Sebastiano a destra, non ha particolare pregio artistico, ma è molto importante per le iscrizioni nei cartigli, che sono testimonianza della volontà degli abitanti di Vidiciatico di erigere l’oratorio insieme al proprio parroco.
Nella parte inferiore, riporta l’iscrizione:
“Villa ILL°r de Vitichiatico non alio  sydere confino A.S. 1631 una cum rectore ex voto”.
A sinistra dell’altare si nota un affresco, d’origine Seicentesca, venuto alla luce nel corso di saggi nel 1996.
Raffigura San Giacomo Maggiore e nella mensola sottostante si trova un’iscrizione, purtroppo mutila, con la quale don Mazzini intendeva ringraziare San Giacomo per la concessione di beni con cui egli poté provvedere all’erezione dell’oratorio.
San Giacomo, infatti, è patrono di Sassomolare, da dove don Mazzini proveniva e dove aveva diverse rendite.
Visibili ai lati dell’altare, due pregevoli statue dei Santi Rocco e Sebastiano, in cartapesta dipinta e coeve all’oratorio. Furono portate a spalla dal vicino territorio montesino: si dice che non appena le due statue entrarono in territorio belvederiano, la peste cessò di infuriare.
Questo fatto ha originato la festa del Perdono d’Assisi che ancora si celebra ogni anno, con processione delle due immagini per le strade del paese, il 1 agosto, data tradizionalmente considerata quella di arrivo delle due statue.
Si conserva anche una bella statua settecentesca della Madonna del Rosario.
L’esterno mantiene le caratteristiche originarie, come il portico antistante e il bel campanile a vela, salvo però l’intonaco voluto negli anni ’30 del Novecento da don Giuseppe Tabellini.
Lo sviluppo edilizio dell’ultimo dopoguerra ha portato gli edifici a circondare l’oratorio, che in origine era fuori paese; era circondato dal cimitero del paese fino alla fine dell’800.
La chiesa ha conservato nel tempo la sua destinazione cimiteriale con la creazione di un piccolo Parco delle Rimembranze su cui furono posti 15 alti abeti, purtroppo dopo un recente abbattimento ne rimangono solo 7, in ricordo di altrettanti caduti magalini della Prima Guerra Mondiale.
Il campanile a vela è uno dei pochissimi rimasti, con quello dell’oratorio dei Fiocchi, sopra Rocca Corneta.
I Lavatoi: sono stati costruiti nel 1950 per volere del sindaco di allora Riccardo Bernardi, dato che le donne non avevano più un posto in cui lavare la biancheria dopo la copertura del Gurione, ruscello che ancor oggi attraversa il paese sottoterra.
A proposito del Gurione, un tempo circolava una filastrocca che gli abitanti dei paesi vicini recitavano per prendere un po’ in giro i magalini:
Un ciaccio caldo, un “topo” fritto, un po’ d’acqua del Gurión… Gesù Maria, che buon boccon!”.
Poco sopra il paese si trova invece la piccola edicola votiva di Fontana d’Affrico  da sempre meta prediletta per le donne di Vidiciatico. Si cominciava ad aprile quando le prime giornate di sole invogliavano ad uscire in una sorta di pellegrinaggio continuo che, fra rosari e chiacchiere, proseguiva fino all’autunno.
Per quanto riguarda la storia di questa cappella nel 1692 il cardinale Girolamo Boncompagni in visita alla parrocchia di Vidiciatico annota per la prima volta  la presenza di una fonte che i locali chiamano Affrico, sulla quale è posta un’immagine della Beata Vergine detta Bocca di Rio.
“…in facie ipsius scatet fons qui dicitur Affrico supra quem exposita est imago B.M.V. vulgo dicta Bocca di Rio”
Immagine proveniente probabilmente dal pellegrinaggio di un abitante del posto all’omonimo santuario castiglionese (di Alessandra Biagi).

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